Considerazioni “a monte” sulla pergamena

Ancora a proposito di animali che sono stati utilizzati e sacrificati, specialmente durante il millennio scorso, per ricavare la pergamena, cioè a proposito di… pecore

chi ha avuto modo di osservarle attentamente (ad es. durante le ferie) sa che le pecore hanno scarsa intelligenza, sono… proprio stupide. Dico questo senza volerle disprezzare né offendere… perché è un dato di fatto oggettivo, facilmente verificabile sul campo. Insomma, tutte si comportano “come le altre”, sempre, senza riflettere, senza la capacità di sviluppare valutazioni e adottare comportamenti “egregi” rispetto agli accadimenti e alle situazioni che possono capitare. Ad esempio; se il pastore che le accudisce porge loro un grosso fascio d’erba deponendolo nella lunga e spaziosa mangiatoia, loro non vanno a mangiare quella che è già pronta, a disposizione nella mangiatoia, bensì attorniano fastidiosamente chi gliela porta, rischiando di farlo cadere, per cercare di mangiare l’erba che ha ancora sul forcone. Dico io: basterebbe aspettare l‘attimo necessario affinché venga deposta! Oppure (caso limite) se una di esse prendesse l’iniziativa e scappasse terrorizzata, eludendo la sorveglianza dei cani (cosa alquanto improbabile) ad es. per fuggire nella nebbia, durante un attacco improvviso dei lupi sopra un dirupo, tutte le altre vicine potrebbero seguirla… per solidarietà di gregge, buttandosi anche loro nel burrone, alla semplice condizione che lo facciano quelle davanti a loro e tutto questo “senza fiatare”. Infatti, le pecore belano, anche forte nella stalla, quando debbono essere munte oppure quando hanno fame, ma non strepitano mai, soprattutto se hanno paura e – addirittura – pure se il lupo le sta sbranando! (v. I buoni colori di una volta, a pag. 29).

Le pecore puzzano, molto, se la stalla non viene pulita regolarmente.

Infatti, a causa della prolungata, assidua frequentazione: “mungi oggi e mungi anche domani”, due volte al giorno, tutti i giorni, festivi compresi (dico: Pasqua, Natale, Ferragosto, sempre…) l’odore del gregge “si attacca” e marca dal punto di vista olfattivo anche il pastore, non solo negli abiti, bensì anche nella pelle (ciò accadeva anche ai pergamenai antichi che per lo stesso motivo venivano relegati a lavorare fuori le mura delle città). Ma questo dato di fatto è naturale, non deve essere stigmatizzato. Fa parte di un mestiere antichissimo, onesto e rispettabilissimo.

Partendo da questo spunto anche Papa Francesco, qualche anno fa, ha ammonito i vescovi affinché, stando a servizio e a contatto diretto del popolo, specialmente con quello più bisognoso, prendano “l’odore delle pecore”. Insomma, chi è schizzinoso non può fare il mestiere del pastore e non può farlo nemmeno chi è insofferente alla solitudine, al silenzio della montagna, dove si sente solo il fruscìo del vento sugli alberi e il frinire dei grilli, restando sempre in una situazione scenografica che rispetto al punto di vista che si ha di solito in pianura, oppure tra le case, in città, ha “molto più cielo”. Infatti, in montagna, guardando il panorama verso valle si vedono “due parti” di cielo sopra la testa. Infatti, un pastore che si trova in un prato a pascolare il gregge e che guarda davanti a sé verso valle, vede due o tre parti di cielo in più rispetto a noi cittadini, e in basso una piccola area di terra digradante, che si perde lontano nella caligine. A mio modo di sentire questa situazione “desertica” v. (Osea 2, 16-18) favorisce molto la contemplazione ed anche un discorso diretto col Creatore che sul monte provvede di più che altrove: come sapeva bene il patriarca Abramo (v. Genesi, 22).

Nel Medioevo la pergamena era un materiale pregiato, necessario e comune presso i relativamente pochi “fortunati” che sapevano leggere e scrivere. Allora, nei monasteri e nei conventi, cioè nei centri che detenevano il potere della scienza e della conoscenza, solitamente, rispetto ad oggi, vivevano gruppi molto più numerosi di confratelli. C’era chi si occupava della macellazione degli animali prestabilita secondo tempi liturgici (tutto il lavoro dell’Uomo dipende dalla Pasqua e dai cicli lunari che ne scaturiscono) e secondo modalità tradizionali (v. ad es. la macellazione Kosher, appresa ed apprezzata anche dai Cristiani tramite la lezione dei Fratelli maggiori nella Fede).

Si tenga presente che una volta, rispetto al consumo esagerato che ne facciamo noi, la carne, di norma, si mangiava solo durante i giorni festivi e specialmente nelle solennità. Così facendo, nei monasteri la pergamena che serviva (bastante) poteva essere prodotta semplicemente, in proprio, anche senza ricorrere al lavoro specialistico del pergamenaio (v. I buoni colori di una volta, pp. 32-43). Infatti, per quanto possibile ogni insediamento monastico doveva cercare di raggiungere prima possibile una propria autonomia con autosufficienza materiale e alimentare. Quello che coltivavano e quello che allevavano doveva bastare (latte, formaggio, lana), e tutto veniva fatto secondo il motto benedettino, Ora et labora tenendo in conto per prima cosa l’orazione e poi il resto (quando non bastava il cibo si ricorreva alla questua, e anche questo era un fatto “positivo” perché necessario per poter praticare la santa Umiltà).

La carta inventata dai Cinesi nel 105 d.C., arrivata in Europa con i Musulmani invasori della Spagna e prodotta in Italia a partire dal sec. XIII sostituì molto lentamente la pergamena, ma si può dire che la pergamena non sia mai stata del tutto abbandonata essendo e rimanendo il supporto scrittorio più pregiato. Tra l’altro, agli esordi, l’uso della carta per gli atti pubblici venne bloccato dall’editto di Federico II nel 1221 perché ritenuta eccessivamente deperibile rispetto alla pergamena.

Soprattutto la pergamena di pecora fu usata sempre, perché nella stalla, era l’animale più facilmente gestibile e quello più numeroso. Quindi, quotidianamente, invece della carta che usiamo oggi, gli scrittori e gli amanuensi usavano pergamena di pecora per scrivere qualsiasi cosa: missive, libri con miniature o senza, oppure serviva per realizzare diplomi e documenti ufficiali che ancora oggi possiamo ammirare e leggere negli Archivi di Stato, negli Archivi vescovili o nelle Biblioteche storiche, ma serviva anche ai battiloro cioè a quegli artigiani specializzati nella battitura a mano (a martello) finalizzata alla produzione di sottilissime foglie d’oro che servivano ai Pittori per realizzare i dipinti a tempera su fondo oro (v. I buoni colori di una volta, pp. 70-72) e che ottenevano tagliando e battendo tra un pezzo di pergamena e l’altra, pezzettini d’oro ricavati generalmente da monete in circolazione (v. La doratura delle icone e delle superfici lignee. Storia, significato, tecniche e pratica).

Apertura della pila dopo la prima battitura a martello dei pezzettini d’oro.

 

Foto che mostra l’allargamento progressivo dei quadratini d’oro in base ai colpi di martello ricevuti (50, 150, 300 colpi entro la pila di pergamena).

Foto tratta dal libro: La doratura delle icone e delle superfici lignee. Storia, significato, tecniche e pratica.

 

Durante la brunitura di una doratura a foglia d’oro zecchino, operazione preliminare alla realizzazione di una miniatura a tempera all’uovo,

sopra un foglio di pergamena di pecora. Questi argomenti sono trattati nel libro: I buoni colori di una volta.